Vi è mai capitato di avere una immagine particolare di un fatto o di una situazione mentre tutte le persone che vi stavano attorno vi davano una versione completamente diversa?
Sicuramente sì.
Ecco allora che è arrivato il momento di introdurre un nuovo concetto per comprendere cosa vi è successo nel dettaglio.
I bias, chiamati anche bias cognitivi, sono delle vere e proprie distorsioni che le persone attuano nelle valutazioni di fatti e avvenimenti.
Tali distorsioni spingono a ricreare una propria visione soggettiva che non corrisponde fedelmente alla realtà. In sintesi, i bias cognitivi rappresentano il modo con cui il nostro cervello distorce di fatto la realtà.
In italiano il bias può essere tradotto come pregiudizio.
L’etimologia del termine “bias” è incerta, ma alcuni studi collocano l’origine in Francia e nella lingua provenzale con la parola biais che significa “obliquo”, “inclinato”.
Cerchiamo ora di capire da dove nascono queste distorsioni.
Traggono origine proprio dal pregiudizio, come già accennato.
Le persone costruiscono delle vere e proprie mappe mentali, degli stereotipi, dove si annidano i bias. I bias cognitivi derivano quindi da esperienze e concetti preesistenti che non sono necessariamente connessi tra loro da legami logici e validi.
Se ci fermiamo a riflettere, ci rendiamo conto che spesso, anche ogni giorno, molte delle decisioni che prendiamo sono proprio governate da un bias, e influenzate dagli stereotipi.
A volte queste strategie innate ci portano fuori strada, altre volte invece la scorciatoia scelta può anche rivelarsi utile.
Cerchiamo ora di capire come nascono i bias.
Le persone si trovano continuamente davanti a dubbi, sfide, problemi e scelte da affrontare, e in tutti questi casi applicano un approccio che viene definito “euristico”, ovvero un approccio logico che comprende un insieme di strategie, tecniche e processi creativi per trovare una soluzione. Un approccio logico-scientifico è però dispendioso da sostenere, e applicato quotidianamente a tutte le decisioni da prendere diverrebbe insostenibile, dunque il nostro cervello deve trovare in molti casi un approccio più veloce e meno dispendioso.
I bias non sono altro che una rapida scorciatoia che il nostro cervello utilizza per risparmiare energia. Bisogna dire che queste scorciatoie sono per la maggior parte corrette e ci consentono di interpretare la realtà in maniera rapida ed efficiente. Ma in alcuni casi, però, i bias ci conducono a errori di valutazione. Ed è propri quando tale processo euristico porta ad un’imprecisione o a un errore di valutazione, ci si trova di fronte a un bias cognitivo.
Si può essere immuni ai bias?
Qualcuno, ora, potrebbe alzare la mano e affermare di non essere vittima dei pregiudizi ma anzi avere una lista abbastanza lunga di amici, parenti e conoscenti che invece ne sono vittima.
Ma, a quanto pare, in tutti noi esiste una zona cieca della nostra consapevolezza, definito “Bias Blind Spot”. Questo fenomeno emerge chiaramente dai risultati degli esperimenti fatti dalla psicologa Emily Pronin nel 2002 dove, da numerosi e strutturati confronti, ogni individuo considerava se stesso, sempre, più obiettivo di chiunque con cui si confrontasse. Questa asimmetria nella percezione dei pregiudizi, che Emily Pronin ha denominato “illusione introspettiva” ci fa ritenere, erroneamente, che essendo a conoscenza dei bias possiamo evitarli o gestirli. Ma, appunto, non è così e, acquisire consapevolezza rappresenta il primo passo proprio per imparare a gestirli.
Le varie tipologie di bias
I bias sono di diverse tipologie ma rappresentano comunque una sorta di errore cognitivo tipico dell’uomo e che viene innescato quando il cervello deve agire con rapidità e deve risparmiare energie cognitive.
Ma i bias non per forza devono essere visti in modo negativo, anzi. Senza questo meccanismo, sarebbe stato tutto molto più complesso.
I bias, infatti, sono dei pregiudizi utili in tema di evoluzione e sopravvivenza e sono positivi in quanto sono molto utili e preziosi per riconoscere una certa situazione e trovare la soluzione rapidamente.
Ma facciamo alcuni esempi per poter comprendere in maneira più immediata cosa si intende per questi bias e vedere anche quali sono i più comuni.
Gli studi, ad oggi, sono arrivati a contarne circa 200.
I bias cognitivi più comuni e più conosciuti sono:
- Bias di ancoraggio: non ci permette di mettere in discussione i dati di partenza, a cui ancoriamo le nostre valutazioni.
- Bias etnico: ci fa valutare in modo migliore le persone che appartengono al nostro gruppo etnico, rispetto a quelle degli altri gruppi etnici a cui noi non apparteniamo.
- Bias dell’egocentrismo: ci fa ricordare quei particolari eventi in modo che rafforzi la nostra autostima.
- Bias della coerenza: ci fa ricordare in modo errato i nostri comportamenti, atteggiamenti o opinioni passati, in modo da farli assomigliare a quelli presenti.
- Bias di conferma: ci fa prendere in considerazione i dati e le informazioni che tendono a confermare le nostre tesi iniziali.
Ma i bias si ha la tendenza ad applicarli solo alla vita privata?
Ebbene no. Anche sul lavoro può succedere, anzi, più spesso di quanto non crediate tanto che tali pregiudizi spesso tendono ad essere origine di decisioni errate, incomprensioni e conflittualità.
Come esempio vi porto l’“effetto Pigmalione”, conosciuto anche come “la profezia auto-avverante”. Di fatto si tratta di quel fenomeno secondo cui, se un manager crede che il proprio collaboratore sia meno dotato, lo tratterà, anche inconsciamente, in modo diverso dagli altri.
Il collaboratore interiorizzerà il giudizio e si comporterà di conseguenza; si instaurerà così un circolo vizioso, il classico cane che si morde la cosa e che porterà il collaboratore ad avere nel tempo delle prestazioni meno performanti, proprio come il manager aveva immaginato., confermando poi quello che pensava.
Ovviamente questo vale, fortunatamente, anche in positivo, ed è un aspetto che i manager, nel bene e nel male, dovrebbero tenere sempre a mente e che un buon leader dovrebbe applicare sul posto di lavoro per sviluppare al massimo le potenzialità dei propri collaboratori e colleghi.
Un ambito lavorativo dove i bias la fanno da padrona è quello delle vendite dove ogni singola variabile determina l’esito finale e dove anche la famosa “prima impressine” è sicuramente determinante. Ce la si gioca tutta nei primi secondi di un incontro durante i quali i nostri interlocutori si fanno una idea di noi, creandosi una idea ben precisa. Se l’effetto è positivo è tutto a posto ma se invece è negativo allora si rischia che quella prima impressione pervada anche ciò che diremo e faremo. Questo meccanismo prende proprio il nome di “Halo effect” e se tale pregiudizio è radicato non se ne esce.
Sempre rimanendo in ambito aziendale… come si possono gestire tali bias?
La prima cosa importante è sicuramente conoscerli, soprattutto i più comuni, in modo da gestirli e migliorare così i propri comportamenti.
Un altro punto importante è quello di mettersi in discussione e ricredersi su alcune circostanze e situazioni, capire la motivazione dietro alcune scelte sbagliate, ripensare alle valutazioni sbagliate fatte su alcune persone in modo da riflettere sui bias che abbiamo in modo da non commetterne in futuro, oltre a, ove possibile, rimediare ai propri errori.
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